Pagina guida presente nel primo volume della collana Quaderni Mediterranei – Poeti traduttori in viaggio
Ricorda, angelo:
solo il Sud ed io sopravviviamo in te.
Tu sei il nostro responsabile»
Ho viaggiato molto. A volte penso più di quanto avrei voluto; a volte penso di aver imparato quasi tutto viaggiando. Non arrivando alla meta: andando verso di lei. Credo che il movimento significhi e insegni più della stazione. Le persone con cui vivi solo per poco tempo; che parlano con la libertà di chi non ti vedrà mai più; che diventano generose e comprensive come chi vive la tua stessa avventura; che si inventano personaggi, che non sono e non saranno mai, per concedersi di essere per qualche ora chi hanno sognato; che raccontano senza ambiguità i loro disastri e i loro fallimenti come se tu fossi un confessore laico e condiscendente…Ora mi sento pigro per partire. Progetto con illusione questo o quel viaggio e, quando si avvicina il momento, mi rattrista lasciare la mia casa, il mio ordine, il mio cane, il mio lavoro incompiuto, le mie abitudini, la mia dieta e l’orario dei miei pasti. Vorrei poter annullare l’impegno. Eppure basta che io metta un piede in macchina o in aereo o in treno perché resusciti tutto il mio vecchio, congenito desiderio di novità, di ritrovamenti, singolarità e sorprese.
Ormai si vola, da un punto all’altro della Terra, su aerei supersonici, il cui scopo apparente è decollare oggi e atterrare ieri, i treni sfrecciano a più di duecentocinquanta chilometri orari. Non lo definisco viaggiare una tale urgenza; lo definisco arrivare. Per me viaggiare è muovermi, ormai non più a piedi, a un ritmo che ti permetta di digerire e contemplare il percorso, non di ignorarlo. Tra il luogo da cui parto e quello in cui arrivo ce ne sono molti altri, e tutti mi interessano. Detesto il viaggio di coloro che mangiano ovunque vada il loro cibo e bevono la loro bibita e non hanno il minimo interesse a controllare quanto diverso può essere un uomo da un altro. Detesto il viaggio di chi consulta una guida che dice loro per quale strada raggiungere un certo palazzo e, quando lo trovano, dicono: «Eccolo, è questo», e ne cercano subito un altro, come se l’obiettivo del viaggio consistesse nel localizzare qualcosa e non penetrarlo e apprezzarlo e godere della bellezza dell’invisibile fino
a quel momento. Non mi piace viaggiare con quelli che puntano ad un’alta velocità di crociera e non si fermano per un caffè o per guardare un paesaggio. Si fermano solamente, di tanto in tanto, ad una stazione di servizio e dicono: «Prendi quello che vuoi», come se ti offrissero un po’ di benzina.
Amo viaggiare con il dono di quel tempo su cui non si conta, quel tempo in più, quell’abbondanza immaginaria in cui la poesia germoglia con tale naturalezza. Non c’è da stupirsi che ci mettessi così tanto tempo per finire il mio libro El poema de Tobías desangelado, che finalmente ha dimostrato di essere anche, tra l’altro, un infinito libro di viaggi…
Antonio Gala